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pre lo stesso tono. Altro è una lettera, altro un’orazione politica, o un’orazione forense. Persino davanti ai giudici, si varia tono secondo le cause; perchè le private e di poca importanza non richiedono quegli ornamenti, che adoperiamo quando siano in gioco la vita o l’onore. Le lettere poi, sogliamo scriverle con le parole di tutti i giorni.„1

Dunque, le lettere del grande oratore sono scritte, per sua stessa e incontrastabile testimonianza, in plebejo sermone e con quotidianis verbis. Ma, di grazia, chi è che avendo sott’occhio una di quelle lettere e un’orazione dello stesso autore, non s’accorga che sono scritte nella medesima lingua, salvo, s’intende, le differenze derivanti dal diverso genere di componimento? Ciò che nella lettera sarà detto con la frase familiare: andare all’altro mondo, o con altra anche plebea, nell’orazione sarà detto con frase sostenuta: render l’anima a Dio. Ma queste non sono due lingue: son gradazioni, tinte, sfumature diverse d’una stessa, stessissima lingua; e chi volesse prendersi il gusto di esaminare le prime cento voci o maniere d’una lettera di Cicerone, si può scommettere che ce ne

  1. “Ain tandem? insanire tibi videris, quod imitere verborum meorum, ut scribis, fulmina? Tum insanires, si consequi non posses: quum vero etiam vincas, me prius irrideas, quam te, oportet. Quare nihil tibi opus est illud a Trabea; sed potius άπότευγρχ meum. Verumtamen quid tibi ego videor in epistolis? nonne plebejo sermone agere tecum? Nec enim semper eodem modo. Quid enim simile habet epistola aut judicio aut concioni? Quin ipsa judicia non solemus omnia tractare uno modo. Privatas causas, et eas tenues, agimus subtilius; capitis aut famae scilicet ornatius: epistolas vero quotidianis verbis texere solemus.„ (Ad Familiares, IX, 21.)