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manze derivino dal latino rustico, o volgare o plebeo. Ma, oltrechè alle poche centinaia di parole romanze d'origine latina rustica si può contrapporne molte migliaia d’origine latina nobile, o nobile e rustica insieme; non bisogna mai dimenticare che l’organismo di dette lingue poggia quasi interamente sulla comune grammatica latina. Il tronco, dunque, da cui son germogliati i rami che si chiamano italiano, francese, spagnolo, ecc., è, in sostanza, il latino di Virgilio e di Plauto, di Cicerone e di Vitruvio; il latino togato e quello tunicato; insomma, il latino di tutti, quello che parlava omnis populus, come dice Varrone.

Una curiosa riprova di questa verità l’abbiamo nel fatto comunissimo, che de’ due sinonimi o doppioni latini, il volgare cioè e il civile, se uno attecchì in una delle nuove lingue, l’altro attecchì in un’altra. Ebriacus, per esempio, che forse era la forma popolare usata invece di ebrius, diede il toscano ubbriaco, il romanesco imbriaco, l’antico spagnolo embriágo, il provenzale ebriac, ecc.; ma l’ivre francese deriva direttamente da ebrius (come il nostro ebbro, del solo uso letterario); sicchè bisognerebbe concluderne che i Romani andati nella Francia settentrionale, quando si ubbriacavano o parlavano dell’ubbriachezza, fossero tutte persone civili. E così, se il volgare canutus diede l’italiano canuto, il provenzale canut e il francese chenu; dal civile canus è però derivato lo spagnolo cano. Se dall’allaudare o adlaudare di Plauto derivarono il provenzale alauzar, e lo spagnolo e portoghese alabar; dal comune laudare