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originale e prodotte nel processo sono quelle allora recapitate, qui riprodotte e pubblicate.

Le due versioni della lettera a Zaccagnini sembrano scritte nell’arco della stessa giornata, poiché in entrambe si fa riferimento alla distanza di quindici giorni dal rapimento, quindi siamo al 31 marzo, ma i toni sono diversi. Più attenuato è quello della lettera recapitata1 e le varianti agiscono su quattro punti: la condanna a morte appare come decisa nella versione non inviata e come conseguenza immaginabile nell’altra; Moro si definisce “ostaggio” nella prima e “prigioniero politico” nella seconda; il rapimento è interpretato come funzionale allo scambio di prigionieri nella prima e come una possibilità di uscita nella lettera inviata; la previsione di Enrico Berlinguer sull’acutizzarsi della reazione al momento dell’accordo tra il Pci e la Dc viene espunta nella seconda versione. In questo caso lo scarto tra i due testi è traccia di rielaborazione in tempi ravvicinati o di due opzioni parallele che nei giorni intercorsi tra la scrittura e il recapito furono oggetto di scelta da parte dell’organizzazione dei rapitori. La versione non recapitata, infatti, non sarebbe stata funzionale al comunicato n. 4, fatto pervenire dai terroristi insieme alla lettera, nel quale essi dichiararono che lo scambio dei prigionieri non era l’obiettivo dell’operazione ma un’opinione di Moro («Questa è la sua posizione che, se non manca di realismo politico nel vedere le contraddizioni di classe oggi in Italia, è utile chiarire che non è la nostra»). Contestualmente non vollero sancire in quel momento una condanna a morte, ma lasciarne la minaccia, poiché descrivevano Moro come «perfettamente consapevole di cosa lo aspetti»: dunque vollero dare l’idea di indisponibilità sulla trattativa proposta da Moro, facendo tuttavia trapelare una possibilità di contrattazione che avrebbe continuato a dividere e a lacerare il fronte contrapposto, cosa che evidentemente fu obiettivo prioritario di tutta l’operazione. È peraltro contenuta in questa lettera, e in entrambe le versioni, l’affermazione di Moro sulla posizione trattativista di Paolo Emilio Taviani che, poco dopo smentita dall’interessato, sei giorni più tardi fu fonte di acre polemica, espressa nella sola scheggia del memoriale allora lanciata dai brigatisti, nella quale Moro stigmatizzava la dichiarazione di Taviani2: fatto rilevante non solo nel merito, ma perché dimostrava l’effettivo procedere dell’interrogatorio e quindi del «rischio di essere chiamato o indotto a parlare» a cui Moro si era riferito nella lettera a Cossiga. Questo documento non è noto nel suo originale, che pure dovette essere recapitato, ma risulta solo in fotocopia; ne esiste una seconda versione nota nei soli due fogli dattiloscritti recuperati a Milano nel 19903, che appare come una elaborazione preparatoria.

  1. Cfr. Ibid. p. 17 nota 1.
  2. Ibid., pp. 40-49, nn. 21-22; Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto... cit., pp. 39-41; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica... cit., pp. 3-47.
  3. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., pp. 40-49, in particolare p. 48 nota 1.