Pagina:Mussolini - Il mio diario di guerra, 1923.djvu/88

Da Wikisource.
80 benito mussolini


notizia al mio commilitone, il gasista milanese Pechio. Sulle prime era incredulo. Quando gli ho mostrato la prima pagina del Popolo, ha creduto ed ha pianto.

Nevica rabbiosamente. Tutti i monti sono già bianchi. Ordine di affardellare gli zaini e di tenersi pronti per partire. La nostra compagnia deve sostituire la 9a, che si trova già da cinque giorni ai posti avanzati.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Dopo due mesi comincio a conoscere i miei commilitoni e posso esprimere un giudizio su di loro. Conoscere è forse troppo dire. Le mie conoscenze sono limitate al mio plotone e — un poco — alla mia compagnia. La trincea nell’alta montagna costringe ogni soldato a vivere da solo o con qualche compagno, nella propria tana. Cerco di scrutare la coscienza di questi uomini, fra i quali, per le vicende guerresche, io debbo vivere e, chissà!... morire.

Il loro «morale». Amano la guerra, questi uomini? No. La detestano? Nemmeno. L’accettano come un dovere che non si discute. Il gruppo degli abruzzesi, che ha per «capo» o «comparo» il mio amico Petrella, canta spesso una canzone che dice:

E la guerra s’ha da fa,
Perchè il Re accussi vuol.

Non mancano coloro che sono più svegli e coltivati. Sono quelli che sono stati all’estero, in Europa e in America. Hanno letto prima della guerra