Pagina:Neera - Addio, Firenze, Paggi, 1897.djvu/124

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110 addio!


parlava del suo prossimo fine con quella calma dignitosa, con quella severa rassegnazione che l’uomo onesto sente all’avvicinarsi del tremendo mistero.

In pochi mesi era già la seconda volta che mi trovavo di fronte alla morte. Essa mi rapiva i più nobili affetti, quasi per punirmi di averli oltraggiati.

Io tremavo e nascondevo il volto ardente di rossori, mentre nell’impeto di un tardivo amore esclamavo prostrata davanti al suo letto:

— Potessi salvarti! — oh, dimmi se ti basta il mio sangue, la mia misera vita. Parla! Dimmi che non soffri, dimmi che non morrai!

Mi pareva, in quei momenti, che mi sarebbe stato agevole scontare ogni colpa e vivere gli ultimi anni redenta e felice con lui che era stato il mio primo amore.

Questo pensiero mi esaltava fino alla disperazione e copriva di baci la sua fronte smorta, la livida bocca che fra gli spasimi mi sorrideva ancora.

Una sera — chiare raggiavano le stelle,