Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/237

Da Wikisource.

— 227 —

cane della mia pipa che quanto ho detto è la pura verità.

Il fumo denso del tabacco si svolgeva in spire cineree; i bicchieri danzavano sul desco frequentemente percosso; il gas oscillava su tutte quelle giovani fronti lumeggiando le capigliature arruffate, liscie, crespe, brune, bionde — più bionda di tutte quella di Patrizio che aveva dei riflessi da aureola.

Gildo tossì una o due volte e rimosse la sua sedia. Nessuno si occupava più di lui.

La parola l’aveva Patrizio.

— Ch’io possa diventare benedettino e farmi canonizzare dopo morte se mai e poi mai mi venne in mente di avere uno zio.

— In America?

— No, in Inghilterra. Un originale che non ho mai visto e che è morto qualche mese fa lasciandomi i suoi milioni.

— Simpatico originale! Così avesse molte copie; ne reclamerei una per me.

— Compreso il codicillo? — disse Patrizio scuotendo sull’orlo del tavolo la sua pipa spenta. — Perchè c’è un codicillo, amici carissimi; e tu Augusto che volevi sapere da quel povero ragazzo che cosa è l’ipotenusa, dimmi un po’ che cos’è il codicillo di mio zio?