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236 Una giovinezza del secolo XIX


sulle rocce del castello che aveva appartenuto alla famiglia di suo marito, serbando fino all’ultimo il suo dolce e composto sorriso, la sua tenera affezione per me, tanto ricambiata, ricordata sempre.

Ultima rimaneva la zia Claudia, trascinando quella sopravvivenza a sè stessa che è la forma più malinconica dell’invecchiare. Il corpo che si trasfigura perdendo le linee e i colori, il brio di vita che si ottenebra a poco a poco, anticipando nella mente il buio dell’al di là, accompagnano la dipartita dell’essere caro di uno sconforto, quasi una umiliazione che nessuno se non l’ha provata può intendere. Oh! bello trasvolare, come la zia Carolina, dall’uno all’altro mondo prima che la malattia ci afferri, che la decadenza ci scomponga, trasvolare, puri d’anima e di corpo, in una elevazione dello spirito a Dio! Già da qualche anno la povera zia Claudia era entrata in quella trasformazione di tutta la persona che fa dire con una frase popolare, ma efficacissima: "Non è più lei!" E intorno a lei, nell’isolamento pieno di tristezza e di rimpianti in cui viveva, ogni cosa era cambiata, logora, sfasciata, morta innanzi ancora che lei morisse. Un peggioramento improvviso, del quale non fui avvertita, pose fine alle sue sofferenze.