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Una giovinezza del secolo XIX 237


Nel treno, che mi conduceva a Caravaggio il giorno del funerale, pensai che vedevo questo paese per l’ultima volta, e nel mettere piede sull’ampio viale del Santuario, mi sentii battere il cuore. Tutta la mia vita risorgeva da quell’oasi, dove avevo passato i più bei giorni della mia infanzia e dove sapevo di dover trovare solo una nuda bara. A passi lenti, con una esitazione sacra per tutte le memorie che si ridestavano in me, mi avviai verso il paese, fermando gli occhi su ognuna di quelle fronde, su ognuno di quei muricciuoli o di quelle panchine tra albero e albero come per fissarne il disegno nella mia mente. Entrai nella piccola chiesa di San Bernardino, alquanto profana nel suo barocco voluttuoso e nelle pieghe delle cortine che abbracciano gli altari con morbidezza di alcova, ma tanto cara alla mia visione fanciullesca per i bei colori dell’ornamentazione e per quell’aria vecchiotta che in ogni tempo mi tenne sotto il suo fascino. Dinanzi all’arco a tre porte che mette al paese, colla statua della Madonna campeggiante nel mezzo, fiancheggiata da due angeli che imboccano la tromba, una attrazione magnetica mi fece volgere gli sguardi sullo