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Una giovinezza del secolo XIX 239


curve le rame sulla fossa dell’immondezzaio. Mi sovvenni allora che egli mi aveva ispirato una delle mie prime riflessioni sui rapporti fra la natura e l’uomo. Dovunque girassi lo sguardo i ricordi sorgevano. Riconobbi la sedia sulla quale la zia Claudia faceva sedere le povere donne che venivano a farsi strappare un dente o a prendere consiglio dal dottore; non serviva mai per nessun altro e giaceva ancora sotto il portico, quantunque il dottore fosse morto da molti anni; giaceva rudero abbandonato in mezzo alle altre rovine, ai muri che si scrostavano, ai parati stinti, ai mobili appannati, agli specchi opachi; vecchiaia e distruzione di tutte le cose intorno a una povera vecchia, che si era sentita morire ogni giorno un poco, insieme alla sua casa che moriva. Salii, da ultimo, la breve rampa dello scalone, dove volava un tempo il mio piede leggero per andare a beccuzzare i chicchi oblunghi d’uva galletta, che dal giardino saliva a vestire il terrazzo di grappoli biondi, dei quali rimaneva, unico ricordo, un macabro intreccio di ceppi arsicci e contorti. Posava sovr’essi in quel momento una cocciniglia rossa che mi parve l’anima sopravissuta della mia prima gioventù. E sulla parete dello scalone - oh! sorpresa dolcissima - ecco intatti i versi dell’Ed-