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Una giovinezza del secolo XIX 49

sue preghiere, cercava affannosamente presso ai mobili l’angolo che presumeva più al sicuro delle eventuali sporcizie.

E anche la zia Claudia, quando non fosse occupata a rincorrere la servetta, (occorrevano sempre a lei serve giovani da poter far piroettare) eleggeva a suo domicilio il sottoportico, vi riceveva, vi lavorava, ammesso che lavorasse, perchè io in verità non l’ho mai vista seduta tranne che nel caso di dover discorrere con qualcuno; esso era il centro di riunione come l’hall per le case inglesi; è per questo che tutte le sedie disponibili vi erano raccolte in democratica fratellanza colla catasta di legna e nessuno vi faceva caso. La vecchia dimora, dimora avita dello zio, era sempre stata così. Dovevano, però, i visitatori premunirsi contro le correnti d’aria, perchè l’hall della zia Claudia, posto tra il cortile e la strada colla porta sempre aperta, faceva una terribile concorrenza alla rosa dei venti. Non che mancassero i locali; la casa era ampia, ampia ma scomoda: tutti quegli stambugi, solai, scale e scalette, che formavano la delizia di noi ragazzi, erano un inutile ingombro al disimpegno delle domestiche faccende; moltiplicavano le lontananze, interrompevano le unità, obbligando venti, trenta volte al giorno,