Pagina:Nepote - Vite degli eccellenti comandanti, Sonzogno, Milano.djvu/95

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I RCCBLI.HNTl COMANDANTI Quivi !n Cui modo visse, che a tutti quanti gli Ateniesi, era non ragione carissimo. Imperciocché oltre il favore, che già ila giovine godeva, spesse volte alleggerì coll» sue ricchezze la pubblica loro miseria. Imperciocché trovandosi il pubblico in necessità di far voltura, nè proponendogli condizioni eque, egli sempre s’interpose, ed In maniera che nè mai da lui ricevette usura, nè sofferse che si differisse più a lungo il pagamento del debito che s'era accordato. Le quali cose tutte due erano vantaggiose, imperciocché nè lasciava che pazientando i debiti loro s’invecchiassero, nè col moltiplicar gl’interessi, s’accrescessero. A questo servigio aggiunse un’ altra liberalità : imperciocché diede a tutti del frumento, in modo che ne toccassero sei moggia per testa, la qual misura chiamasi in Atene un medimno. III. Egli diportavasi poi in maniera, che agl’ infimi si mostrava famigliare, e co' grandi come un loro eguale. Da quello ne nasceva che il pubblico gli facesse tutti quegli onori che poteva, e desiderasse di farlo cittadino. Del qual privilegio ei non volle far uso ; atteso che alcuni tengono che si perda la romana cittadinanza , acquistandone un’altra. Finché fu presente fe’ sempre ostacolo, perchè non gli fossero alzate statue : partito poi che fu noi potè impedire. Pertanto alcune ne eressero a lui, ed all'amicizia in luoghi assai rispettati. Imperciocché in ogni buon provvedimento della repubblica, egli prestava sempre non meno l’opera che il consiglio. Adunque quel primo dono fu della fortuna, ch’egli nascesse in quella città, nella quale era la sede dell’impero del mondo, cosi che gli fosse la medesima e patria e dimora: ma questo fu prova della sua prudenza, che essendosi in quella città trasportato, la quale per l’antichità e per la dottrina era sopra tutto eccellente, egli vi fosse più d’ogni altr’uomo tenuto carissimo. IV. Siila lasciando l’Asia, portatosi in Atene, finché vi soggiornò, volle sempre in sua compagnia Pomponio, preso dalla gentilezza e dalla dottrina di questo giovine. Imperocché egli parlava cosi perfettamente la greca lingua, che parea nato in Atene. Il latino poi lo parlava con tal dolcezza, che si scorgeva in lui una certa grazia, non presa in prestito, ma tutta naturale. Recitava poi in maniera tale poesie si greche come latine, che non poteasi andar più oltre. Le quali cose fecero che Siila noi lasciasse mai da sè discostare, ed avesse il desiderio di seco menarlo a Roma. Al che studiandosi d’indurlo : « La- « soia, ti prego, il pensiero, disse Pomponio, di volermi « condurre contro di coloro, a favore de’ quali per non « prender le armi contro di te, ho abbandonato l'Italia ». Siila allora, lodata l’offlciosità del giovine, nel partire or