Pagina:Nietzsche - La Nascita della Tragedia.djvu/255

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il nuovo alessandrinismo 203


l’azione, gli uomini doverono distruggerli tutti. Pure, cotesto istinto metafisico si sforza anche adesso di procurarsi una forma, sebbene svigorita, di trasfigurazione nel socratismo della scienza inculcante a vivere; solo che nei più bassi gradi sociali tale istinto menò a una cerca febbrile, che a poco a poco si smarrì in un pandemonio di miti e superstizioni raccattati da tutte le parti. E in mezzo al pandemonio s’indugiò il greco con l’anima inappagata, finché non si volse, come greculo, a mascherare la febbre con la serenità greca e con la leggerezza greca, oppure non s’intorpidl completamente in qualche cupa credenza orientale.

Fin dal tempo della rinascita dell’antichità alessandrino-romana nel quindicesimo secolo, dopo un intermezzo difficile a descriversi, noi ci siamo raccostati a quello stato d’animo nel modo più singolare. Sulla cima, la stessa smodata brama di sapere, lo stesso gusto insaziabile della scoperta, la stessa enorme mondanizzazione, e, insieme, un vagabondare senza patria, un affollarsi avidamente intorno alle tavole straniere, una frivola apoteosi del presente oppure uno stupido e torpido distacco, tutto e sempre sub specie saeculi, dall’«oggigiorno»: sintomi, la cui somiglianza fa indovinare una consimile mancanza nell’anima di questa cultura, vale a dire la distruzione del mito. Sembra quasi impossibile trapiantare con esito duraturo un mito straniero, senza ledere sacrilegamente l’albero in tale trapiantagione: può darsi talvolta, che l’albero sia