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l’osservazione costante, e a dirla con Newton, il pensarvi sempre valga negli studi fisici, ove la natura, sollecitata e scossa dalle sperienze, apre meraviglie al di là di quanto poteva il nostro pensiero immaginare. A diciotto anni già carteggiava con Beccaria, Nollet, Franklin, Barletti, Priestley ed altri fisici d’alta rinomanza: a ventitrè senza indirizzo più che del proprio ingegno già era ben addentro nelle fisiche cose e nella chimica pneumatica.

Al pubblico si espose primamente con un libretto, ove spiegò i modi dell’attrazione e della repulsione elettrica, e come diversamente sia ricevuto, conservato e trasmesso il fluido elettrico dai diversi corpi secondo la natura e la superficie loro e dei confricatori; stabilì poi la teoria della capacità dei conduttori, deducendola dal ritenere i corpi idioelettrici il fluido una volta accumulatovi: come l’adesione di due corpi elettrici è segno di due elettricità contrarie: verità tutte sviluppate ampiamente ed esattamente dai fisici successivi. Nel 1773 inventò l’Elettroforo perpetuo, col quale, caricato una volta, si hanno per sempre senza ruota nè strofinamenti gli effetti dell’elettricità. Formò nel 1782 il Condensatore, col quale, ingrandendo estremamente i segni elettrici, rese cospicua quella virtù che altrimenti si sottrae ai sensi. Accoppiandovi il suo Condensatore, inventò un Elettrometro più sensitivo e squisito di quanti prima di lui si conoscessero, e levossi ad indagare l’elettricità atmosferica. Sulla cognizione dell’aria infiammabile nativa delle paludi, cominciò nuovi studi: rese ragione dei fuochi fatui, terrore del volgo, delle stelle cadenti, degli igniti vapori di Velleia e di Pietramala, che argomentò accesi dall’elettricità: in prova di che ci rivelò la pistola elettrica. Inventò l’Eudiometro, stromento con cui conoscere la bontà dell’aria, e facendo poi che quell’aria trapelasse poco a poco all’aperto, ebbe una lampada. Trovò la Pila o l’Elettromotore, e questa fu suprema sua gloria; quanto si giovassero gli stranieri delle invenzioni del sommo nostro Comasco, e di quanto si osasse contenderne perfino il merito di una scoperta, or qui non giova rammemorare. — Gran che se ancor resta all’Italia cosa che gli stranieri le possano rubare.