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92 novella liv.

LIV.


Avventura di un Avaro.


Trovandosi N. in una sua villetta non molto discosta da Tiene, nelle più calde ore del giorno soletto in una sala a terreno per acconciare e rivedere i fatti suoi, avea versati sopra una tavola alquanti sacchetti di monete, e stavasi noverandole in pace. Leva per caso gli occhi e vede sull’uscio della sala appresentatosi un uomo fra i cinquanta e i sessant’anni, con un ceffo da guardarsene ogni fedel cristiano, guernito le labbra di due mostacchi che di qua e di là gli cadevano verso al mento, cappello alla sgherra, e un grosso archibuso da valle in ispalla e due pistole alla cintola. Questo subìto apparimento fu un ghiaccio al cuore del galantuomo, il quale diede per perduto sè ed i danari in quel punto; e peggiore stimò lo stato suo, quando dietro al primo, vide il secondo e il terzo a comparire, tutti armati alla medesima foggia. Posesi il vecchio la mano al cappello per fare un saluto, e il padrone, veduto l’atto del braccio, stimando ch’egli volesse levarsi dalla spalla l’archibuso, fu per domandargli la vita, se non che pure udendo la voce di un saluto, fece cuore, e levatosi in piedi, sberrettandosi anch’egli, fece a’ tre una grata accoglienza, dicendo che volentieri ne gli vedea (Dio sa come), e che desiderava d’intendere che buon vento ne li avesse quivi condotti. Ma mentre che in tal guisa favellava, spesso la natura gli facea volgere gli occhi alle monete sulla tavola versate, e gli parea di vederle a volare. Di che avvedutosi il vecchio, gli disse: Signor mio, non temete punto di noi, chè non siamo già qui per farvi danno veruno, ma camminando noi a questo gran bollore, siamo mezzo morti di sete. Bene, risposte il padrone, noi beremo, volentieri; attendete. Chi è là? servi, Giovanni, Piero. Non fu verso che alcuno rispondesse, perchè, essendo l’ora strana, chi era