Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) II.djvu/142

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ODE NEMEA IV 135


affrontan la prova, non riedono senza l’onore
dei serti alla patria, dov’è, Timasarco,
tua gente, sollecita dei carmi epinici.
Desideri forse
che pure per Càllide, german di tua madre


XI


io levi una stele piú candida che il marmo di Paro?
Rifolgora tutta la luce
dall’oro che fuse;
e l’inno per l’opere egregie
fa l’uom pari in sorte ai Sovrani. Or ei che dimora
sul fiume d’Averno, ben oda il mio canto,
il prode che cinto dell’apio corinzio,
fu già nell’agone
del Re del tridente dall’ululo lungo.


XII


E a lui con spontanea cura cantava, o fanciullo,
Eufàne, tuo prisco antenato.
Sono altri compagni
ad altri d’età. Ciò che ognuno
mirò, nutre speme che meglio ridirlo saprebbe.
E chi per lodare Melesia lottasse,
parole intrecciando, nessuno atterrarlo
potrebbe: benigno
pei buoni: agli ostili ben aspro vicino.