Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/388

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libro decimoterzo 7

Quale a villan, che dalla prima luce
Co’ negri tori, e col pesante aratro45
Un terren franse riposato e duro,
Cade gradito il Sole in occidente
Pel desio della cena, a cui s’avvia
Con le ginocchia, che gli treman sotto:
Tal cadde a Ulisse in occidente il Sole.50
Tosto agli amanti del remar Feaci,
E al Re più, che ad altrui, così drizzossi:
Facciansi, Alcinoo, i libamenti, e illeso
Mandatemi; e gl’Iddj vi guardin sempre.
Tutti ho già i miei desir: pronta è la scorta,55
E della nave in sen giacciono i doni,
Da cui vogliano i Dei che pro mi vegna.
Vogliano ancor, che in Itaca l’egregia
Consorte io trovi, e i cari amici in vita.
Voi, restandovi qui, serbate in gioja60
Quelle, che uniste a voi, vergini spose,
E i dolci figli, che ne aveste: i Numi
V’ornin d’ogni virtù, nè possa mai
I dì vostri turbar pubblico danno.
     Tacque; e applaudia ciascuno, e molto instava,65
Si compiacesse allo stranier, da cui
Uscita era sì nobile favella.
Ed Alcinoo all’araldo allor tai detti: