Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/432

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libro decimoquarto 51

Di ponente spirava un vento acquoso.
Ulisse allor, poichè vedeasi tanto545
Carezzato da Euméo, tentare il volle,
Se gli prestasse il proprio manto, o almeno
Quel d’alcun de’ compagni aver gli fesse.
Euméo, diss’egli, ascoltami, e i compagni
M’ascoltin tutti. Io millantarmi alquanto550
Voglio, qual mi comanda il folle vino,
Che talvolta i più saggi a cantar mosse
Più là d’ogni misura, a mollemente
Rider, spiccar salti improvvisi, ed anche
Quello a parlar, ch’era tacere il meglio.555
Ma dacchè un tratto a cicalare io presi,
Nulla io terrò nel petto. Oh di quel fiore
Fossi, e tornassi in quelle forze, ch’io
Sentiami al tempo, che sott’Ilio agguati
Tendemmo, Ulisse, ed il secondo Atride,560
E, così ad essi piacque, io terzo Duce!
Tosto che alla cittade, e all’alte mura
Vicini fummo, tra i virgulti densi,
E nelle canne paludose a terra
Giacevam sotto l’armi. Impronta notte565
Ci assalse: un crudo Tramontan soffiava,
Scendea la neve, qual gelata brina,
E gli scudi incrostava il ghiaccio. Gli altri,