Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/458

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libro decimoquinto 77

Non digiuno però, gl’ispidi verri.
E noi sediam nel padiglione a mensa,495
Ambi a vicenda delle nostre doglie
Diletto, rimembrandole, prendendo:
Poichè de’ mali ancora uom, che sofferse
Molto, e molto vagò, prende diletto.
     Cert’isola, se mai parlar ne udisti,500
Giace a Delo di sopra, e Siria è detta,
Dove segnati del corrente Sole
I ritorni si veggono. Già grande
Non è troppo, ma buona: armenti, e greggi
Produce in copia, e ogni speranza vince505
Col frumento, e col vino. Ivi la fame
Non entra mai, nè alcun funesto morbo
Consuma lento i miseri mortali:
Ma come il crine agli abitanti imbianca,
Cala, portando in man l’arco d’argento,510
Apollo con Artemide, e gli uccide
Di saetta non vista un dolce colpo.
Due cittadi ivi son di nerbo eguale;
E l’Ormenide Ctesio, il mio divino
Padre, dell’una e l’altra il fren reggea.515
Capitò un giorno di Fenicj, scaltra
Gente, e del mar misuratrice illustre,
Rapida nave negra, che infinite