Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/49

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34 odissea

Dal cui lattante sen pendei bambino?
Grave in oltra mi fora, ov’io la madre170
Dipartissi da me, sì ricca dote
Tornare a Icario. Cruccieriasi un giorno
L’amato genitor, che forse vive,
Benchè lontano, e punirianmi i Numi,
Perch’ella, slontanandosi, le odiate175
Imploreria vendicatrici Erinni.
Che le genti dirian? No, tal congedo
Non sarà mai, ch’io liberi dal labbro.
L’avete voi per mal? Da me sgombrate;
Gozzovigliate altrove; alternamente180
L’un l’altro inviti, e il suo retaggio scemi.
Che se disfare impunemente un solo
Vi par meglio, seguite. Io dell’Olimpo
Gli abitatori invocherò, nè senza
Speme, che il Saturníde a tai misfatti185
La debita mercè renda, e che inulto
Scorra nel mio palagio il vostro sangue.
     Sì favellò Telemaco, e dall’alto
Del monte due volanti aquile a lui
Mandò l’eterno onniveggente Giove.190
Tra lor vicine, distendendo i vanni,
Fendean la vana regïon de’ venti.
Nè prima fur dell’assemblea sul mezzo,