Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/634

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libro vigesimosecondo 253

Tu, prode Euméo, chiudi la porta, e sappi,
Se ciò vien da un’ancella, o dalla trista,195
Come parmi più ver, di Dolio prole.
     Mentre tali correan voci tra loro,
Melanzio per le belle armi di nuovo
Salse. Adocchiollo Euméo, nè a dir tardava
Così ad Ulisse, che lontan non gli era:200
Laerziade divin, quella rea peste,
Di cui noi sospettiam, sale di nuovo.
Parlami chiaro: degg’io porlo a morte,
Se rimangogli sopra, o qua condurlo,
Perchè a te innanzi d’ogni suo delitto205
Meritamente il fio paghi una volta?
     E il saggio Ulisse: A sostenere i Proci,
Come che ardenti, io col mio figlio basto.
Filezio dunque, e tu, poichè l’avrete
Entro la stanza rovesciato a terra,210
Ambo i piedi stringetegli, e le mani
Sul tergo, chiusa dietro a voi la porta;
E lui d’una insolubile catena
Cinto tirate sino all’alte travi
Lungo una gran colonna, acciocchè il tutto215
Sconti con morte dolorosa, e lunga.
     Pronti i servi ubbidiro. Alla sublime
Camera s’affrettâr, da lui, che dentro