Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/643

Da Wikisource.
262 odissea

     Ma di Terpio il figliuol, l’inclito Femio,
Che tra i Proci sciogliea per forza il canto,420
Morte schivò. Della seconda porta
Con la sonante in man cetra d’argento
Vicino erasi fatto, e in due pensieri
Dividea la sua mente: o fuori uscito
Sedersi all’ara del gran Giove Ercéo,425
Dove Laerte, e il suo diletto figlio
Molte solean bruciar cosce taurine,
O ad Ulisse prostrarsi, e le ginocchia
Stringergli, e supplicarlo; e delle due
Questa gli parve la miglior sentenza.430
Prima tra una capace urna, e un distinto
D’argentei chiovi travagliato seggio
Depose a terra l’incavata cetra:
Poi ver l’eroe si mosse, e le ginocchia
Stringeagli, e gli dicea con voci alate:435
Ulisse, ascolta queste mie preghiere,
E di Femio pietà l’alma ti punga.
Doglia tu stesso indi ne avrai, se uccidi
Uom, che agli uomini canta, ed agli Dei.
Dotto io son da me solo, e non già l’arte,440
Ma un Dio mi seminò canti infiniti
Nell’intelletto. Gioirai, qual Nume,
Della mia voce al suono. E tu la mano