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LX PREFAZIONE

al mare. Un impeto d’orgoglio patrio solleva i gorghi della sua anima contro l’impeto del fiume straniero. Nella sua fantasia è nata, alla vita dei secoli, la lotta fra Achille e lo Scamandro.

Il poeta avanza. Ecco, ancora frondoso, ancora, forse, intatto, il caprifico d’intorno a cui Achille ed Ettore avevano corsa la loro gara di morte. Ecco il luogo dove l’eroe troiano, che costringeva all’ammirazione i piú fieri nemici, aveva piegato per sempre le ginocchia invincibili.

Il poeta avanza. Il suo piede calca già le larghe lastre della via troiana, avanza tra i ruderi, negri sul fuoco del tramonto, delle mura immani, costruite dalle mani divine d’Apollo e di Posídone. Nella penombra del crepuscolo, le rovine mutilate sembrano ricomporsi, tutta l’antica città rivive. Allo svolto d’una strada, alta, bella, bianca nelle sue vesti di porpora, gli appare la divina Andromaca, che alza fra le braccia il pargolo Astianatte.

E torna al naviglio ed al mare. E la danza dei flutti armonizza nel suo fervido sangue la danza dei numeri poetici, pura e armoniosa come quella che intrecciano gli astri nella cerulea notte.

E il battello approda ad una città florida e popolosa. Si scende nell’àgora che protende le sue lastre di marmo sino entro l’onde del mare, si espongono le mercanzie, si intrecciano i traffici. I marinari corrono la notte in cerca di amori fugaci. Il poeta è accolto nelle case dei principi, nella casa del re. E il re lo fa sedere vicino a sé, partecipare al suo banchetto. E quando i valletti hanno poi levati i cibi dalle mense, e le tazze circolano coronate di vino fumoso, il poeta prende la sua cetera e canta. Canta, ora, gli eroi