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del chiabrera 179

V

AD ANSALDO CEBA’.

Alcun giorno
     Sorge il Sol nell’Oriente
     E ne varca all’Occidente
     Tutto adorno;
     Alcun giorno ei fa ritorno
     Nubiloso,
     E di nebbie i raggi ascoso.
Spesso avviene
     Che Nettun rimbomba altiero
     Si che in mar cauto nocchiero
     Nol sostiene:
     Spesso ancor l’onde serene
     Rende il vento
     D’Anfitrite al piè d’argento.
Io, che miro
     Cielo e mar così cangiarsi,
     Che ’l turbarsi e’l tranquillarsi
     Vanno in giro,
     Di mio mal poco sospiro;
     Anzi aspetto
     Dietro il pianto alcun diletto.
Sempre scura,
     Buon Cebà, non fia mia vita,
     Anco un di vedrò fornita
     Mia sventura:
     Mal su rota si figura
     La Fortuna
     S’aver può fermezza alcuna.

VI

RISPOSTA

D’ANSALDO CEBA’

All’Autore.

Mentr’intorno
     D’Ippocrene all’onde lente,
     Che non s’apre a volgar gente,
     Fai soggiorno
     5Da far onta al tempo, e scorno,
     Che riposo
     Più ti chiede il cor bramoso.
Le catene,
     Onde stringe un dolce impero
     10A cercar piacer non vero;
     Le Sirene,
     Onde avvien che t’avvelene
     Rio concento
     Non pon farti il cor contento.
15Nè ’l desiro,
     Ch’è si presto a sollevarsi,
     E si tardo a disarmarsi,
     Quanti apriro
     L’Indie mai tesor, nè Tiro
     20Nel tuo petto
     Ti pon far giammai perfetto.
Sol la cura
     Di seguir per via spedita,
     Gabbriel, chi s’ha vestita
     25Tua natura,
     Per amarti oltre misura,
     Pò ciascuna
     Voglia tua far men digiuna.

VII

PER GLI EROI

DELL’ILLUSTRISSIMA CASA CIBO.

Con ira il tempo torbido rimira
     I pregi di quest’alme peregrine;
     Ma per danno di lor non prova al fine
     Sì possente venen, che non si scherna,
     Bella virtute anco i mortali eterna.

VIII

Questi versi non mai Lete ricopra,
     Nè perchè sian rivolti a basso segno,
     Nè perchè nuovo sien scherzo d’ingegno,
     Che dell’uom grande è da prezzarsi ogn’opra.

IX

Tra nobil gente,
     Ognor si sente,
     L’alto pregio di questa al fin sen va.
     Sua gran beltade
     5Per troppa etade
     Quasi Febo nel mar tosto cadrà.
I tanti onori,
     I bei colori,
     Di che la guancia un tempo alma fiorì,
     10Impalliditi
     Son sì smarriti,
     Come rosa di maggio a mezzo dì.
Sotto sue ciglia,
     O meraviglia,
     15Il bel foco d’amor non arde più;
     Sol vi si scorge
     Lume, che porge
     Segno del grande ardor, che ivi già fu.
In tal maniera
     20Mattina e sera,
     Donna, sento parlar dovunque io vo;
     Nè v’entri in core
     Perciò dolore:
     Cosa mortale eterna esser non pò.
25Ma v’empia il petto
     Dolce diletto,
     Che mentre fiamma da’ vostri occhi uscì,
     Così s’accese,
     Ogn’uom cortese,
     30Ch’a’ rai del vostro volto incenerì.
Tra’ quali in seno
     Io pur non meno
     Oggi serbo il desir che m’infiammò;
     E tutto ardente
     35Eternamente
     Reïna del mio cor v’inchinerò.