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del chiabrera 259

Di lusingar con amorosi accenti;
Parte non è di me, salvo che rea
Di pena eterna; e ben leggier tormento
Fia, se tu miri al mio peccar, lo ’nferno;
215Ma se non è laggiù chi si rivolga
Verso il tuo nome, oggi risplenda un giorno,
Che sia giorno per me di tue mercedi.
In mezzo questi voci ella rammenta
Le numerose squadre degli amanti:
220Allor più caldo il lagrimare sgorga,
E singhiozzando incontra lor favella:
Alme, che liete correvate il tempo
Di vostra vita, ed io crudel per via,
Lassa! v’ancisi, unqua per voi consiglio
225Si prenderà di procacciar salute?
Ah, che se mar di vano amore in fondo
Vi riterrà, questi miei crin, questi occhi
Colpa n’avran, che tenebrosi e spenti
Stati fessero allor, che ve gli offersi.
230Cosi diceva, e disperdeva intanto
L’or della chioma, e con le proprie palme
Battea le ciglia, e di percosse alterne
Faceva il volto risonare e’l petto,
Ivi tingendo di livor la neve,
235Che tanta a gli occhi altrui diè meraviglia.
E già per l’Orïente il Sol spargeva
Candidi raggi, e Maddalena intenta
A sua salute, entro suo cor favella:
Ecco la luce che risveglia il mondo,
240Tempo è da gir, siccome Marta impose,
Al buon Maestro: ei che del figlio estinto
Seppe allegrar la vedova dolente,
Forse mi degnerà d’alcun conforto.
Così dicendo ella s’avvolse intorno
245Negletto manto, e rimirando i fregi
D’oro e di gemme, e le superbe pompe,
Onde soleva ornar la sua bellezza,
Le straccia, le disperde e le calpesta:
Non prende rete, onde i capei rinchiuda,
250Non ricca fascia, di che il sen succinga,
Non fior d’Arabia, onde per l’aura odori;
Ma gli irti crin su gli omeri disciolta
Vassene scalza, e sulla bella guancia
Appariva dipinto il gran cordoglio.
255Le turbe in rimirar chiedean dubbiose
S’ella pur fosse Maddalena, e quale
La percotesse repentino affanno;
Ed ella fissa ne’ pensier celesti
Cercando andava il Galileo Maestro;
260Poi dove intese, che Simone a mensa
Seco l’accoglie, di pregiato unguento
Vasel procura, ed a’ beati alberghi
Con frettoloso passo ella s’invia,
E ratto varca alla bramata stanza;
265Nè prima scorge il gran Signor, ch’umíle
Gli s’avvicina, e tacita l’adora,
E sul diletto piè versa gli odori,
Con gli occhi suoi tutto lavando intorno.
Qual suole in bel giardin correr fresca onda
270Per netta doccia, s’ortolano a sera
Ne brama ricrear pianta di cedro,
Cotal correa di Maddalena il pianto
Ch’ella spargea del Redentore a’ piedi;
Cui poscia del bel crin mesta tergea,
275Baci figendo alle beate piante.
Di meno angoscia vedovella geme
Se rimira morir l’unico erede,
Di quella, onde Maria s’afflisse e pianse:
Nè pianse in van; che da pietà commosso
280Sulle sue colpe il gran Signore eterno
Un largo fiume di mercè diffuse;
E contra i biasmi altrui le fece scudo
Con la sua voce, e le donò la pace,
Che mai poscia da lei non si disgiunse.

VI

I CINQUE TIRANNI DI GABAON.

     Mentre in riva dell’Arno atti e sembianti
Erato canta, e femminil beltate,
Tu giù dall’alto ciel stellata il manto,
Urania, scendi, e meco altrui racconta
5Dell’ebreo duce in Gabaon i pregi,
I cinque re, ch’ei di sua man trafisse.
Sazio di seguitar l’orme fugaci
Del campo avverso il vincitore ebreo
Tornossi a’ campi di Maceda altero;
10Ed ecco, che dal ciel discesa a gli occhi
Di Giosuè l’alma giustizia apparve.
Ella beata in sulle stelle eterne
Appresso il seggio del gran Dio soggiorna,
Nè discende quaggiù, se non apporta
15Per decreto divin degni supplici,
E degne pene a’ scellerati in terra:
Ed or perchè cinque tiranni a morte,
Empie corone, Giosuè traesse,
Dalla superna regïon si move.
20Lucida spada con la destra impugna,
Ferro di tempra adamantina, e strigne
Con la sinistra mano aurea bilancia:
Il bel corpo di neve ostro le vela,
Che fiammeggiando infino al piè discende;
25E largo cinto di rubin contesto,
E di giacinti le circonda i fianchi,
Lieve stringendo le mammelle, e perla
Colà, dove s’affibbia, ampia riluce,
E di rai candidissimi sfavilla.
30Sì fatta al duce ebreo l’altera donna
Chiuso nel padiglion fassi davante,
E dice: forte, ed al gran Dio diletto
Successor di Mosè, che oltra il Giordano
I suoi seguaci di tua man conduci:
35Già sai tu ben, che nell’orribil pugna
Dianzi mirando il popolo disperso,
I regi per viltà gittaro l’armi,
E dentro una spelonca ognun s’ascose;
Or tu, da quelle tenebre fugaci
40Tratti alla luce, di tua man gli ancidi:
Che? tanto si assicura umano orgoglio,
Che per virtù d’un scettro, egli disprezzi
La spada, che a mia destra il ciel commise?
Siano specchio costor, che da’ più grandi
45Io soglio ricercar più gran vendetta.
Così dicendo, di veloce volo
Entro l’umide nubi si nascose.
Ma il gran guerrier, tutto infiammato i sensi
D’onesto sdegno, e nel real sembiante
50Tutto cosperso di terribile ira,
Esce del padiglion. L’altero busto
Era coperto di lucente usbergo,
Pregio infinito; e dal sinistro fianco