Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/193

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a chi gli diceva, che era un prometeo 185


Or io temo che l’opera mia non sia come il camello fra gli Egiziani, e che la gente ammiri ancora le belle coverte ed il freno. Perocchè l’essere ella composta di due cose bellissime, che sono il dialogo e la commedia, non fa che ella sia bella, se l’unione non è armonica e di leggiadra proporzione. L’unione di due cose belle può riuscire una stranezza, come è il notissimo Ippocentauro,1 che certo non puoi dire essere una bestia piacevole, così sozzo e rissoso come è, se bisogna credere ai pittori, che ce lo rappresentano fra crapule ed uccisioni. Ma che? e di due cose ottime non se ne può fare una bella, come dal vino e dal mele una dolcissima bevanda? Si può: ma credo che non sia questo il caso mio, e temo che la bellezza dell’uno e dell’altra non sia guasta dall’unione. Da prima non erano molto amici e famigliari tra loro il dialogo e la commedia: quello ritirato in casa, e nei passeggi solitari ragionava con pochi; questa datasi a Bacco, stava sul teatro, e scherzava, faceva ridere, motteggiava, e talvolta camminava in cadenza a suon di flauto, e spesso saltabeccando sù gli anapesti, dava la baia agli amici del dialogo, salutandoli coi nomi di malinconici e di strolaghi, e non s’era proposta altro scopo che trafiggere costoro, e rovesciar loro in capo tutta la furia di Bacco, rappresentandoli ora che andavan per l’aria e conversavano con le nuvole, ora che misuravano il salto d’una pulce, e fantasticavano di cotali altre corbellerie come di cose sublimi. Il dialogo poi ragionava di cose gravissime, filosofando della natura e della virtù; sicchè, a dirla coi musici, eran lontani fra loro due ottave, l’uno stava al tono più acuto, l’altra al più basso. E pure noi ardimmo di congiungere ed acconciare due cose che non facilmente pativano di stare insieme.

Ho paura ancora ch’io non paia d’aver fatto qualcosa di simile al tuo Prometeo, ad aver mescolato maschio e femmina, e che di questo fatto io sia reo. Ma meglio questo che, come lui, ingannare gli ascoltatori, mettendo innanzi a loro l’osso nascosto sotto il grasso, il riso del comico sotto la gravità del filosofo. Di furto poi (chè anche di furto fu appuntato quel Dio) bah, no: questo puoi dirlo, che nel mio non c’è roba altrui.

  1. Ippocentauro, caval-toro.