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212 L’Empedocle

     15Lacrimevole stirpe!) il sempre puro
     Etera concreò; me con benigna
     Temperie l’acqua onnifeconda emise,
     Quando fra mare e cielo erano ancora
     Confusi i dritti, e le immature glebe
     20S’ammontavano pigre all’onde in seno.
     Non di pensanti allor, non d’animali
     Razze pascean la fruttuosa luce,
     Non alberi, non erbe, infin ch’io primo
     Vegetal seme in su la terra eruppi,
     25In molli strati mi distesi, in alti
     Rami m’attorsi, e per immemorati
     Tramutamenti conquistando il moto,
     Come il senso da poi, fuor degli acquosi
     Baratri al Sol più temperato emersi.
     30Me non conscio vibrar, me guizzar vide
     L’onda immensa da pria, me per le inferme
     Ripe reper la terra alma; a vicenda
     Correr duplice mostro il flutto e il lido.
     Snodar le spire sinuose e tendere
     35Le pinne audaci ad usurpar le alture;
     Poi di salde ossa e d’acri nervi instrutto,
     Qual nave capovolta, imprimer l’erbe
     Di quattro orme ad un tempo, e nei muscosi
     Spechi gl’impauriti echi svegliando,
     40Contendere ai men forti il covo e il cibo.