Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/157

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LIBRO PRIMO 137

il suo nome con quello di Pietro, ricevè gli ordini sacri, ma con deliberato consiglio di astenersi dalle funzioni loro, chiudendo l’esercizio di queste il varco alle secolari magistrature per cui nutriva ancora un resto di speranza; i suoi beni caddero nel fisco, e solo dall’animo clementissimo di Giustiniano potè riaverne qualche parte. Non ostante però il grande cangiamento di fortuna egli proseguiva a menare vita lautissima, dandogliene opportuno mezzo e il danaro accordatogli dalla generosità imperiale, e molto più quello di per sè trafugato; il qual contegno, l’arroganza sua, e il dispregio in che poneva le meritate sciagure attiravangli l’esecrazione de’ Romani, ed acceleravano le pene maggiori serbategli dalla giustizia divina.

    in un’isola della Propontide che due ponti congiungevano alla terra ferma. Sovrastavale il monte Dindimo celebre pel tempio erettovi dagli Argonauti alla madre degli Dei, quindi chiamata Dindimene. Sappiamo inoltre da Pausania che «i Ciziceni dopo di avere forzato colla guerra i Proconnesii a divenir loro concittadini, tolsero da Proconneso la statua della madre Dindimene: questa è d’oro, ed il suo volto, in vece di essere d’avorio, è fatto di denti di cavalli marini» (lib. viii). Mitridate dopo avere riportato una vittoria sopra le truppe romane aventi a duce Cotta, cinse questa città d’assedio; mossosi però dal fiume Sangario Lucullo, ov’era a campo, e presolo alle spalle gli fe toccare una gravissima sconfitta essendo asceso il numero de’ Pontici morti a diecimila, e quello dei prigionieri a tredici mila, o se vogliamo prestar fede a Plutarco (Vita di Lucullo) trecento mila sommarono gli estinti, i prigioneri, i bagaglioni, e quanti altri erano alle salmerie dell’esercito (V. Appiano, Guer. Mitr.; Strab., lib. xii; Memnone, Ist. d’Eraclea Pontica; Polibio, lib. v).