Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/111

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LIBRO PRIMO 101

certo che avrai pentimento dell’arditissimo tuo procedere, subentrando tosto nel fragore della pugna il rimorso negli animi di coloro che osarono sconsigliatamente incontrarla. Che se tale è il tuo caso, come sta fermo nelle menti nostre, adopereresti assai meglio ritraendoti dal farti strumento di pene a questi Romani, cui Teuderico governò con somma liberalità e nelle delizie, e dal contendere col legittimo signore degli Italiani e de’ Gotti. Nè sapremmo in fè nostra come tu non debba trovare assurdo il volertene rimanere chiuso in Roma, ed il rifiutarti di valicarne le porte per tema del nemico, quando il re suo dimorante nel campo è costretto ad affliggere i proprj sudditi con tutti i disagi e mali della guerra? Or dunque se conformandoti ai nostri consigli cangi di mente noi accorderemo a te ed alle tue genti la facoltà di partire con tutto il vostro, non estimando equo ed ufficio di umanità l’insultare a coloro che docili si rimettono sulla via del dovere e della modestia. Di buon grado inoltre interrogheremo i Romani, che sino ad ora hanno sperimentato la nostra amorevolezza, e veggonci adesso, di conformità alla parola avutane, aiutatori, sulle offese ricevute dai Gotti, per cui deliberarono tradire non meno le cose loro che la fede nostra.»

III. Al sermone degli oratori il duce rispose: «Mai più, o Gotti, accatteremo da voi consigli nelle nostre deliberazioni, non costumandosi tra gli uomini di far guerra coll’approvazione del nemico, ma tratta ognuno i suoi affari come giudica per lo migliore.