Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/116

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106 GUERRE GOTTICHE

moderassero, e dessero principio alla pugna sol quando ne avrebbero da lui il segno: la cagione poi del suo riso a tutti occulta in allora fecesi col tempo avvenire manifesta. I Romani pertanto a quel suo facetamente prendersene giuoco il censuravano e nomavanlo temerario, mal tolleranti la di lui noncuranza all’inoltrare de’ Gotti. Se non che venuti questi vicino della fossa, primo il duce imperiale togliene di mira colla sua faretra uno armato di lorica ed alla testa della schiera, trafiggendolo sì mortalmente nel collo che videlo a cadere supino; laonde tutto il popolo tenendo ciò di ottimo presagio manda fortissime ed inudite grida: avventata poscia dal duce una seconda freccia coll’eguale successo maggiori grida sursero dalle mura, gli imperiali credendosi già vittoriosi del nemico. In questa Belisario dato il segno a tutte le truppe, ordina di por mano agli archi inculcando loro di ferire principalmente i buoi, de’ quali ben presto fatto un generale scempio, i Gotti più non poterono spigner oltre le torri, ed arrenarono mancanti d’arte e di consiglio a mezzo l’impresa. E tanto fu assai chè ognuno confessasse l’ottimo provvedimento del duce vietando intraporre ostacolo al proceder di coloro per ancora lontani, e addivenisse palese la cagione del ghignar suo, vo’ dire la goffaggine de’ barbari, i quali con tanta sconsigliatezza eransi dati a sperare che condurrebbero i buoi sino appiè di quel muro. Andata come scrivea la bisogna alla porta Belisaria, Vitige, rispintone, vi lasciò un forte corpo di truppe, dando allo schieramento molta profondità, e fe’ comando ai capi di non muovere contro