Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/147

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LIBRO PRIMO 137

l’esercito poselo in ordinanza collocando nel centro le coorti de’ fanti e ne’ due corpi i cavalieri; nè tenne lo schieramento lontano dagli steccati; ma quanto più vicino potè, bramando che volto appena in fuga il nemico i suoi avessero tutto l’agio di annientarlo seguendone le vestigia dappresso per lungo tratto di paese, nella ferma lusinga che non incontrerebbero, mercè della grandissima disparità di forze tra le due armi, neppure un istante di resistenza dalla parte romana se a piedi pari si fosse battagliato.

II. Del mattino fatto principio alla pugna e Gotti e Romani vengono alle prese, dagli omeri avendo Vitige e Belisario tutti intenti ad esortarli ed incoraggiare. La fortuna sulle prime arrise agli imperiali, ma sebbene molti barbari cadessero vittime delle frecce nemiche non piegò tuttavia la battaglia loro, potendo eglino, d’immenso numero, supplire prontissimamente i feriti con nuova truppa, di qualità che la strage non colpiva lo sguardo. A’ Romani poi, scarsissimi in vero, sembrava fatto assai combattendo sino allora valorosamente, e spingendo la tenzone con gravissima strage a pochi passi dall’entrata de’ gottici steccati; quindi è che venuto il dì al meriggio divisarono tornare in Roma, profittando a tal uopo della prima buona occasione. In questa giornata tre personaggi dell’esercito imperiale segnalaronsi a preferenza d’ogni altro; Atenodoro, intendomi, di schiatta isaurica e famosa lancia del condottier supremo, Teudorito e Giorgio lance di Martino ed originarj della Cappadocia; i quali postisi alla fronte dell’ordinanza con frequenti corse