Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/213

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LIBRO SECONDO 203

fiere, e di altri animali. Nutronsi adunque delle carni di essi e vestonne le pelli; sendo poi affatto privi di lino o di altro che idoneo al cucire, vi suppliscono co’ nervi per congiungere le pelli, ed in queste avvolgono tutto il corpo. Nè alimentano la prole alla foggia delle altre nazioni, venendo essa cresciuta non già col latte materno, vietatole fin di toccare le poppe della genitrice, ma colle sole midolle degli animali uccisi. La femmina subito dopo il parto sospende il bambino rinvolto entro una pelle ad un albero, ed introdottagli nella bocca poca midolla tosto lo abbandona per irne alla caccia, esercizio comune ad ambo i sessi. Tale si vivono costoro; ma pressochè tutto il rimanente de’ Tuliti poco differiscono dalle altre nazioni. V’ha culto tra essi di molte Deità e Genii, parte celesti, parte aerei, chi terrestri, alcuni marini, ed a simile di varie minori divinità a stanza, secondo il volgo, nell’acqua delle fonti e de’ fiumi. Sono diligenti nel sagrificare a questi loro Numi, adoperando ogni maniera di vittime, ma di preferenza l’uomo, ed in ispecie il primo fatto prigioniero in guerra, immolandolo a Marte, venerato come il massimo degli Dei. E nel compiere il sagrificio anzichè dare pronta morte alla vittima sospendonla ad un legno o gittanla nelle spine, o trascelgono all’uopo altra miserandissima uccisione comunque. Con queste consuetudini vivono i Tuliti, del quale numero sono i Gauti ospiti in allora degli Eruli forestieri.

III. Ora quelli di essi a stanza presso de’ Romani, spento il proprio re inviarono alcuni ottimati loro nell’isola Tule all’uopo d’indagare se fossevi taluno di