Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/331

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LIBRO TERZO 321

gli agguati posti loro sulla via; quivi ebbero a toccare grave perdita ed a fatica poterono i duci stessi con altri pochi uscirne a salvamento, cosicchè non osarono più da quinci in poi farsi in campo sebbene di continuo provocati. Da quest’epoca la fame cominciò ad infierire vie maggiormente là entro, impossibile addivenendo l’introdurvi un che di vittuaglia dai campi, nè tampoco il trasferirvi quella di cui venivano apportatrici le navi sul mare, tanto era il rigore dell’assedio. Imperciocchè i Gotti insignoritisi di Napoli avean posto e quivi e nelle isole chiamate d’Eolo1 e da per tutto nelle altre all’intorno copia di barche per impedire accuratamente il passo ad ogni derrata, e conquistare coll’opera loro tutte le vele ed i marini dalla Sicilia tendenti al porto romano. Totila poi comandò alle truppe spedite nell’Emilia di occuparne vuoi a patti, vuoi colle armi la capitale Piacenza, città assai munita all’intorno, giacente sull’Eridano, e la sola in quella regione ligia tuttavia de’ Romani. L’esercito approssimatovisi intimò al presidio l’arrendimento, ed avutone ri-

  1. Ora isole di Lipari o di Vulcano (sette di numero e situate presso della Sicilia). Ebbero a re Eolo e da lui nome, avvicendandolo quindi con quello di Vulcano, figliuolo di Menelao, regnatovi dopo Eolo; tale scrisse Cicerone. Altri pretendono essere così dette a cagione della sulfurea natura loro, vedendosi di frequente mandar fuoco. Dal re Liparo infine, figliuolo del re Ausone, sortirono il terzo nome. I poeti quivi metteano la officina di Vulcano.
Procopio, tom. II. 21