Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/345

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LIBRO TERZO 335

passare all’obbedienza di nuovi e non conosciuti dominatori. Di là i nemici, quasi da ben munito castello fatto impeto, di leggieri posero il giogo a tutta l’Italia, e addivenuti padroni di Roma trasportaronvi dalla Sicilia granaglia in tanta copia da supplire all’universale diffalta durante l’intero anno che fu da noi assediata. Ma basti per rispetto ai Siciliani, i quali non avranno mai più dai Gotti perdonanza, l’enormità delle scelleraggini divertendo ogni compassione dai caduti in colpa. Gl’imperiali rinserrati entro le vostre mura mai sempre rifiutaronsi dal venire in campo, e dall’ordinarsi a battaglia contro di noi; con giornaliere frodi in cambio e rigiri tenendo a bada i Gotti, hanno in poter loro, fuor d’ogni credere, le cose nostre; è mestieri pertanto di ripararvi se vogliamo andar liberi da quinci in poi da simiglianti molestie. Imperocchè se tal fiata c’avvenne d’incappare ignorantemente in qualche fallo, il ricadervi non antiveggendone il pericolo, del che esser dovevamo già esperti, non si vorrà da noi attribuire a sinistra fortuna, ma ben di ragione alla nostra imprudenza. Lo smantellare inoltre Roma di mura sarà di vostro grandissimo giovamento, d’ora innanzi togliendosi così, ad ambedue le fazioni la tema d’un assedio, o di patire quivi rinchiuse carestia di vittuaglia; ma combatteranno esse in campo aperto, e voi sciolti da si gravi sciagure vi sommetterete ai vincitori. In quanto ai servi passati tra noi solo diremo che se nel descriverli ai nostri ruoli ebbero promessa di non venir mai più consegnati agli antichi padroni, facendone