Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/388

Da Wikisource.
378 GUERRE GOTTICHE

colò di tali parole: «Dell’una delle due è forza ritenere provveduto Vero, o di grandi truppe o di singolare demenza; andiamo tosto a combatterlo o per conoscerne la possa, o per farlo accorto di sua pazzia;» ciò detto marcia ad assalirlo con poderosa oste, al comparir della quale gli Eruli ritrassersi a corsa nel vicino bosco. I Gotti seguitene le vestigia ne uccisero di là dai dugento, ed erano sull’imprigionare lo stesso Vero e tutti gli altri acquattati ne’ pruneti quando inopinato evento apportò loro salvezza. Conciossiachè afferaron di colta al vicin lido le navi con Varaze e gli Armeni sotto il suo comando. Il re allora opinando arrivato loro un soccorso maggiore di quanto effettivamente lo era, tosto abbandonò il luogo. Così il duce coi superstiti suoi lietissimi dell’essere campati di questa poterono a precipizio gittarsi nelle navi. Varaze deliberò di non procedere oltre e con tutta la comitiva si diresse a Taranto, capitandovi poco dopo Giovanni, nipote di Vitaliano, coll’intiero novero della soldatesca da lui comandata. Non altrimenti furono le cose.

II. L’imperatore poi avvisando per lettera Belisario della spedizione d’un forte esercito ordinavagli di raggiugnerlo nella Calabria per misurarsi quindi col nemico. Valeriano pervenuto al seno Ionico non estimò prudente consiglio il valicarlo, persuaso che di quel tempo, vogliam dire sul fare del vernile solstizio, indarno spererebbe nella regione trovare fodero bastevole ai bisogni delle truppe e de’ cavalli. Contentossi dunque inviare pel momento soli trecento de’ suoi guerrieri a Giovanni coll’annunzio in iscritto che terminato il verno sareb-