Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/43

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LIBRO PRIMO 35

rarono per lo timore anzi ne’ luoghi forti della regione, che nella città, consapevoli di essere in odio ai Romani, abitatori di lei.

II. Teodato dopo sì lieto annunzio pigliò a non tener conto alcuno degli ambasciadori venuti già presso di lui, sortito avendo dalla natura un animo in guisa perfido e volubile che lo vedevi ad ogni variar di fortuna, stoltamente ed in onta alla personale e regia dignità, o fuor misura atterrito dallo spavento, o in preda a tale orgoglio da non avere io qui parole atte ad esprimerlo. Intesa adunque la morte di Mundo e di Maurizio, sopra modo e al di là di quanto portassero le faccende, imbaldanzitosi cominciò a schernire l’ambasceria, e un giorno tra gli altri, udito rimprocciarglisi da Pietro la violazione degli accordi stipulati con Giustiniano, fatti a sè venire gl’imperiali oratori profferì loro questa diceria. «L’essere eletti all'ufficio di ambasciadori è per verità augusto incarico, e di grandissimo rispetto degno appo tutte le genti; ma di tale onoranza e’ godonsi meritamente sino a che guardano con modestia la nobiltà dell’uffizio loro. È per lo contrario diritto ad ogni popolo comune l’ucciderli se addivengano colpevoli di manifesti insulti alla reale persona, o di mescolamento con altrui donna.» Il re di questo modo ammonì Pietro, non già che il volesse riprendere di commesso adulterio, ma per mostrargli avervi pur troppo di quelle colpe che render possono reo di capitale sentenza l’ambasciadore. Fu la risposta de’ Romani: «Non di conformità ai detti tuoi, o principe de’ Gotti, passano le cose, nè voler ora con frivoli e vani