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502 osservazioni sulla morale cattolica

di calma e di silenzio delle passioni, fortifica l’animo contro la collera, contro il dolore; prega affine d’esser sempre tanto presente a sè stesso, che non ci sia sorpresa per lui; se cade, ne prende argomento d’umiltà, e di nova e più instante preghiera. Io non so chi possa insegnare che una di quelle parole profane distrugga il regno di Dio in un’anima; è però certo che, dove Dio regna, il linguaggio è puro e misurato, e che la Chiesa non vuole educar gli uomini nè a far ciò che un’abitudine qualunque abbia reso comune, nè a servirsi d’espressioni appassionate, senza sapienza, senza scopo e senza dignità.

Quanto poi al ritorno momentaneo dell’uomo perverso alla virtù, se n’è ragionato abbastanza, e forse troppo, nel Capitolo IX.




CAPITOLO DECIMOTERZO


SUI PRECETTI DELLA CHIESA.


Ce ne fut pas tout: l’Église plaça ses commandements à côté de la grande table des vertu et des vices, dont la connoissance a été implantée dans notre coeur. Elle ne les appuya point par une sanction aussi redoutable que ceux de la Divinité, elle ne fit point dépendre le salut éternel de leur observation; et en même temps elle leur donna une puissance que ne purent jamais obtenir les lois de la morale. Le meurtrier, encore tout couvert du sang qu’il vient de verser, fait maigre avec dévotion, tout en méditant un nouvel assassinat ... car plus chaque homme vicieux a été régulier à observer les commandemens de l’Église, plus il se sent dans son coeur dispensé de l’observation de cette morale céleste, à laquelle il faudroit sacrifier ses penchans dépravés... Pag. 419.


Esaminiamo brevemente le due asserzioni preliminari; quindi parleremo delle relazioni di questi precetti ecclesiastici1con le leggi della morale.

1.° La Chiesa pretende di non dare un precetto che non prescriva una azione per sè virtuosa, che non sia un mezzo per purificare, elevare, santificare l’animo, per adempire insomma la legge divina. Se questo si nega, bisogna addurre i precetti o viziosi o indifferenti della Chiesa; se si concede, che cosa si può dire dell’aver essa «messi i suoi precetti a fianco della gran tavola de’ vizi e delle virtù?» Che gli ha messi nell’ordine che conveniva.

Che poi «la cognizione della gran tavola delle virtù e de’ vizi sia inserita ne’ nostri cori,» è una questione incidente in questo luogo e, del rimanente, posta in termini non abbastanza chiari, come è per lo più di quelle che sono espresse per mezzo di metafore. Presa nel senso più ovvio, una tal proposizione parrebbe voler dire che l’uomo abbia dalla natura (qualunque ne sia il mezzo e il modo) una cognizione lucida, intera, inalterabile, di ciò che sia virtù e di ciò che sia vizio. Ammessa la qual cosa, ogni dottrina soprannaturale e rivelata, su questa materia, sarebbe su-

  1. È evidente che l’illustre autore non ha inteso di parlare puramente di quelli che, in senso stretto, e nel linguaggio catechistico, si chiamano Comandamenti della Chiesa; ma del complesso delle pratiche o comandate, o approvate da essa; e in questo senso li prenderemo anche noi.