Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
113
XL.
Quando salir fuor d’oriente sole
La messaggiera de ’ futuri giorni,
Dormendo udii fra lauri faggi e orni
Quella a cui porta molta invidia il sole,
Volsimi al suon di sue dolci parole,
Per veder gli atti pellegrini e adorni:
Che fai, diss’ella, qui? dove soggiorni,
Disonesto par noi veder qui sole.
O degli occhi miei scorta, luce mia,
Volevo dir, che sorridendo pose
Sopra l’omero mio la bella mano.
I’ mi riscossi, che si dolci cose
Sofferir mia virtù più non patia:
Amor così pur mi nutrica invano! (1)
XLI.
Io mi risolvo, come neve al Sole,
O ghiaccio al foco, o nebbia, o fummo al vento;
Omè! ch’io mi consumo, e istò in tormento,
Percosso or qua, or là, come Amor vuole.
Qual Tigre, o Orso porìa le mie parole
Fuggire, che non stesse un poco attento,
A udire la mia doglia e il mio lamento,
Se non questa crudele, il che mi dole.
Omè! ch’io ho perduto libertade
Sol per un fallo, e matto mirar fiso
I più begli occhi, che fosser mai in Terra.
Merzè, per Dio, caro Signor, pietade:
Merze tosto, per Dio, ch’io son conquiso,
E più non posso sostener la guerra.
(1) Questo sonetto io l’ho trovato fra quelli del Tipucci, ma il sig. Trucchi asserisce con l’autorità di moltissimi codici esser del Montemagno. 8