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vane radicalismo per valutarne le forze e studiarne le passioni. Mentre la negazione anarchica era nel suo spirito diventata manomania, per una facoltà abbastanza comune nell’ingegno russo una tendenza critica, sostenuta da forti qualità realiste, lo rendeva poco incline all’ammirazione di quel moto terrorista.

Fra tutti quegli studenti, che il principe di Bismark doveva definire benissimo un proletariato di baccellieri, non sentì che dolori personali provocati dall’indigenza e consolabili da un qualunque impiego. Moltissimi vivevano su borse istituite dal governo o dai privati; gli stessi ultimi czaricidi erano borsieri nutriti e educati a spese dello Czar. Gli studenti, per la maggior parte usciti dalle ultime file popolane, non avevano alcuna educazione nè morale nè intellettuale; ma spinti in alto dall’istinto delle loro famiglie, che sognavano così un avanzamento sociale, recavano negli studi colla passione di un guadagno immediato la mortificazione di una nuova superbia spirituale.

Poi la polizia, invitandoli a scuola, li sottoponeva alle più insopportabili precauzioni di sempre nuovi regolamenti, mentre l’amministrazione, anche più ostile, chiudeva loro dopo il corso dell’università quello degli impieghi.

Quindi gli studenti vivevano nella più squallida povertà, così derisi dal popolo che molti dovettero smettere l’uniforme per sottrarsi alle ingiurie nei