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tandolo così piuttosto da padre che da marito; poi venne coll’altra verso Loris colla fredda disinvoltura di una gran dama. Gli porse la tazza, e andò a sedersi presso il principe.

Un silenzio si appesantì nel salotto. In quel momento Loris pensava che se il principe Kovanski gli avesse concessa la mano di Tatiana, egli l’avrebbe amata forse per sempre, e la sua vita si sarebbe svolta signorilmente in un castello, fra l’amore di una famiglia e il rispetto di tutto il mondo. Ma subito un amaro orgoglio gli fece disprezzare quella visione di pace; il suo sguardo cadde su loro come una scudisciata.

— Quanto contate di restare al castello, principe? gli chiese con voce quasi imperiosa.

— Non lo chiederete già per lasciarci troppo presto: non è vero, Tatiana? Questa è forse la prima visita, che ricevi nell’anno.

— La principessa ne riceverà ancora; le grandi dame non fanno altro.

— Invece io sono sempre sola.

— Voi sola ne saprete la ragione. Generalmente il mondo lo si evita quando non si seppe conquistarlo; ma vi sono, aggiunse ironicamente, oltre i re decaduti quelli che ricusarono la corona.

— E gli uni e gli altri sono egualmente incomprensibili alla satira del volgo, osservò il principe.

— Il volgo satireggiando un re non s’abbandona ancora che al proprio corruccio di schiavo