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Pagina:Oriani - Il nemico, vol.2.djvu/212

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Tatiana ondeggiava agli occhi di Loris come una di quelle immagini, che a certi momenti affascinano la memoria esaurendola nella loro contemplazione. La rivedeva fanciullina al castello nei primi mesi del loro amore, poi più grandicella, quasi donna, sino al giorno che gli aveva sorriso da quella finestra sul cortile, mentre lo attraversava agonizzante nell’angoscia di quelle due frustate; quindi a tutte le stazioni del suo lungo pellegrinaggio, di notte e di giorno, fra le vampe della luce e nelle oscillazioni dell’ombra, a Zurigo, a Parigi, Tatiana gli era riapparsa, sempre, più alta dell’orgoglio dei suoi istessi sogni, più bella della vanità delle sue speranze. Egli, vissuto casto, non aveva avuto che un rimpianto sensuale, negato indarno a sè medesimo, il rimpianto di quello stupro, l’invidia delirante di Topine, al quale aveva gettato Tatiana in un impeto di follia. Si era sentito ben grande in quell’ora; ma dopo aveva capito di non essere più uomo, e che nessuna donna potrebbe mai più accettarlo. Egli aveva rotto il ponte fra le due parti dell’umanità, rilegandosi per sempre nel campo degli uomini, isolato fra essi dall’impossibilità d’amare. Quindi Tatiana gli saliva nel cielo dell’immaginazione come i santi nelle risurrezioni dei vecchi quadri, fiammeggiante e serena dopo il martirio, guardando ancora verso di lui, dall’alto, come guardano le stelle.

Nullameno a che pro amare? La sua vita era