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Siccome non avevano parlato che d’amore, ella non vi trovava ostacoli; la società era scomparsa lasciandoli soli fra la scena bella di quel giardino primaverile. Non vi erano più che fiori, gli uccelli cantavano nell’aria, e le nuvole passavano nel cielo come tende leggiere, che il vento avesse involato ad immensi palazzi di altri mondi.

Allora cominciarono i loro convegni dappertutto; si parlavano alla sfuggita gettandosi un bacio, quando non potevano darselo. Ma le fiamme avvampavano nel loro sangue troppo giovane. Senza accorgersene non facevano che cercarsi; la notte sognavano l’uno dell’altro, il giorno avevano bisogno di scriversi. Tatiana si abbandonava con passione a questo torneo epistolare, cercando di farvi dello stile colle frasi più pazze dei romanzi, mentre tutte le loro scene le s’imbrogliavano dentro la testa attraverso una stravaganza di combinazioni, dalle quali l’amore usciva sempre vittorioso. Però non osava nemmeno seco stessa discutere la soluzione più semplice, che Loris domandasse al principe la sua mano. Sapeva bene che il principe non avrebbe potuto concederla, e in fondo all’anima ella stessa si rafforzava di questa sicurezza. Il suo amore non era che effervescenza di sensi e di fantasia; Loris, bello e sventurato, aveva la solita eccentricità di tutti gli eroi da romanzo. Egli invece l’amava con tutta la passione, di cui era capace. Quella fanciulla gracile