Pagina:Oriani - Il nemico.djvu/102

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nascondere quella piccola terribile arma senza riuscirvi. Il meglio ancora sarebbe stato, nel caso di un incontro, lasciarla cadere e sprofondarsi nella neve: difficilmente però a Pietroburgo avrebbe potuto procurarsene un’altra. Era un’arma perfetta.

A mano a mano che si avvicinava alla piazza Isaac, l’inquietudine gli cresceva: gli pareva di rivedere quell’uomo alto, elegante, colle fedine rosse, d’aspetto e di modi signorili, tendergli ingenuamente la scattolina dei fiammiferi. Poi si rammentava le confidenze sovra esso del colonnello Lavrof, l’illustre pubblicista emigrato, già direttore del Zemlia e Volia: rivedeva la scena del gabinetto da pranzo ripensando con orgoglio sinistro le parole imprudenti, colle quali era riuscito ad impaniarlo. Imbecille! mormorava nel pensiero, mentre dalla neve si sentiva un freddo sottile salire per le gambe, qualche cosa di terrifico che gli arrivava alla coscienza. Il cappello a cilindro di quella spia era sbalzato a molta distanza restando ritto, si ricordava questo particolare: l’infelice si era arrovesciato aprendo le braccia, colla testa indietro. Era stato un istante, ma nullameno Loris aveva visto la morte entrare in quella spia, e schiacciarla. Rivedeva la contrazione spaventosamente rapida della sua faccia, una contorsione della bocca, che non aveva potuto parlare, con uno sguardo feroce, poi supplichevole quasi nel medesimo attimo.... ma il veleno arrivato al cervello ne aveva cacciato tutto l’os-