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Dichiarazione di dubbio


Prima di tutto devo dubitare dei pittori che scrivono (di me stesso quindi in questo momento). Perché scrivono? Sono ridicoli sembrano sassi erratici, pietre di Bismantova cadute in mezzo alla pianura da chissà quale asteroide. Ma questa diffidenza verso chi decide di esprimersi con la penna, anche con la penna, quando ha sempre fatto un altro mestiere, è passatista, medievale: fantasmi solo miei. Anche Lotto, anzi già Lotto leggeva Marco Aurelio e scriveva li Cunti e dopo di lui, ma anche prima di lui, diciamo dopo che l’umanesimo aveva nobilitato la figura di quelli che si sporcano le mani, è stato sempre più frequente e alla fine d’obbligo il pagamento d’un pegno, in segno di riconoscenza per tanta emancipazione.

Ma ora scrivere è diventato addirittura un segno di riconoscimento: un biglietto d’ingresso.

Per la Gheenna mercantile, direbbe Murphy.

Anche in questo Lotto si è dimostrato uno di noi: ha pagato il pegno senza essere nobilitato.

Non è solo per poter entrare anch’io che continuo, sia pure sospettoso e autosospettoso: dove vanno a finire queste pietre erratiche, cioè cos’è questa piatta pianura di questo pianeta qui dove vanno a finire?

Quelli che voglio provocare perché mi diano una mano la conoscono benissimo. Ma spero che tutto questo capiti nelle mani anche di qualche bambino, qualche ingenuo che conservi ancora un po’ di spazio per sognare. Il cosiddetto mondo dell’arte è prima di tutto qualcosa di favoloso, il luogo del bello, una specie di spiaggia ancora naturale. Ed è così: nel mio piccolo lo posso confermare. Penso che le cose andranno proprio male quando non ci sarà più nessuno che lo crede. Il cielo in un cavedio è bellissimo, basta che un solo uccello ci voli dentro. Certo, qui volano anche fucilate: sparano infatti, sparano che l’arte è morta. che nessuno conosce il linguaggio per la nuova cultura tecnologica, che siamo tutti sordi muti e ciechi. E sono professori a farlo. il meglio dei professori. Ma l’ultima cosa che vuol essere questo piccolo scritto è uno sfogo di rabbia.

Sul tavolo del mio studio c’è una pallina nera di gomma, anzi un cilindretto non più grande di qualche millimetro; su questo stesso tavolo sono passate e ho buttato via milioni di cose; non capisco come mai quel cilindretto che non serve a niente e non so nemmeno cosa sia stia sempre là.

Non basta? Lo spiegherò in altro modo. Un vecchio poeta, un tedesco, anzi per la verità un praghese (quanti praghesi!) aveva scritto anche storie per bambini: ce n’era una intitolata: Una ’associazione nata per un sentito bisogno.

Non c’entra? Allora diciamo che aveva inventato degli occhiali. Scriveva: "Magico potere di una piccola luna" e riusciva a vedere in una stanza buia. Non penso che pensasse alle astronavi, perché conosceva Orazio: quid sit futurum cras, nisi quaerere, che tradotto in italiano vuol dire: il mio futuro (futurum cras) al massimo sono(sit) i miei figli, usciti da quella macchina strana che è la donna che me li ha fatti: alta tecnologia (nisi quaerere).

Qualcuno dice (continuano a sparare): dopo l’Uccello (non quello del cavedio), il Piero, Tiziano e forse Van Gogh, ci sono solo io. No, non qualcuno; sono in tanti a dirlo e possono avere ragione tutti: in arte non si applica la matematica e di dissacrazione si sente sempre tanto bisogno. Non appena scoperta e riconosciuta, l’arte diventa sacra; anche quella recente.

Anche quella di oggi.

La chiesa dell’arte è stata definita, se non ricordo male, come la progressiva stratificazione delle eresie. Ho preso gli occhiali per la luna e ho guardato


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