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ciò molto pregiudica alla campagna, e alla cultura delle terre, che restano sempre scarse di braccia, o di opere”1

Della lingua rumena il Sestini tocca a proposito dei vari idiomi che si parlano in Ungheria2, e mostra di averne un’idea abbastanza superficiale. Del resto egli non tocca del rumeno parlato in Valachia, ma di quello di Transilvania, in cui rileva le infiltrazioni ungheresi, accanto alle slave e alle turche, mentre l’impressione che riportiamo dalla lettura delle parole rumene ch’egli cita, (che di rumeno cioè sapesse assai meno di quanto non sarebbe lecito attendersi da chi aveva pur fatto una dimora di più mesi a Bucarest) è dovuta in gran parte all’ortografia ungherese, di cui ammanta quei disgraziati suoni latini, che può darsi pronunziasse un po’ meglio di quanto li non scrivesse.

Sentiamo un poco anche questa campana, visto che abbiam sentito le altre:

„Si parla il Valaco, il quale, come si crede, è un composto di Latino, e Slavo, con mescolanza di diverse parole di molte nazioni, cioè d’Ungarese, Dacio, Sarmatico, e Turco, come per esempio.

Carnye
Vin
Saire
Pepere
Masa
Ursul
Iepure
Kal
Fun
Chertja
Ku m’ai dormit?
Bine am dormi.

Caro
Vinum
Sal
Piper
Mensa
Ursus
Lepus
Caballus
Foenum
Charta
Quomodo dormivisti?
Bene dormivi.


Le parole slave sono: Ulice, strada; Temnitze, Prigione; Milosztiuje, grazia; Szluga, Servo; Nyevaszta, Sposa; Brana, la porta; Owes, Avena; e Szlanina, Lardo.

  1. Sestini, op. cit., p. 26.
  2. Merita ad ogni modo di venir qui ricordato un anteriore accenno a proposito delle parole Feriga e Liperiga, che il nostro botanico abate fa a p. 27, dove ci parla d’una delle sue solite erborizzazioni: „Se si fa attenzione alla nominazione dei nomi valachi, osserveremo, che la parola latina ritrovasi quasi sempre nella loro lingua; come Feriga è Filix, e Liperiga è Liperus.”