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altri anche di dodici e persino di quindici sillabe. Tutto ciò con una speciale inflessione di pronunzia, con un flusso solo, con riscontro di sillabe alla fine (la rima!) e pensieri sublimi, come p. es. sono, fra quelli di molti altri autori, i versi del Tasso, dell’Ariosto, del Petrarca e quelli del giudiziosissimo Metastasio ricco di dottrina e anche più di nativa arguzia”1

Versi di dodici sillabe, e, peggio, di quindici non ce ne sono davvero in italiano, e, verosimilmente, si tratterà di endecasillabi male scanditi dal Văcărescu, abituato, nei versi rumeni, a non tener conto delle elisioni, onde è chiaro che un semplice endecasillabo poteva apparirgli di 12 e persino di 15 sillabe.

Quanto al Tasso, all’Ariosto e al Petrarca, confessiamo che l’aver accennato alle „mari gândiri”2 che si riscontrano nelle loro rime non basta a compensarci dell’ordine cronologico invertito e soprattutto della preferenza data su tutti al Metastasio, mentre in disparte la maschia figura di Dante, tutta chiusa in un dignitoso „dispitto”, pare chiederci vendetta del rumeno che ignora la magnifica apoteosi ch’egli ha due volte fatta di Trajano; ma... non avevamo forse avvertito il lettore di non farsi illusioni?

Pensiamo ai tempi, nei quali scriveva il Văcărescu, alle prime opere tradotte dall’italiano in rumeno, al Bertoldo3 più fortunato della Comedia, agli Scherzi di fantasia4 del Loredano

  1. [„Limba talieneascà n’au obișnuitu a avea stihuri cu număru dă picioare, ci numaì cu număru dă sulabe, și cu multe feluri, altele dă șase, altele dă optu, altele si dă BI (= 12). Și până la EI (= 15!) Acestea totu cu o formă dă glăsuire la pronunție, totu cu o curgere, cu potrivire dă sulabe la fîrșitu, și aceasta dă multe chipuri, cu mari gândiri, pre cumu suntu dintr’ale multor alți Autori, ale lui Tasu, șì Ariostu, și Petrarcha, și ale prea înțeleptulul și plinulul de Istorie... Metastasie...”]. Cfr. Văcărescu, Observații citate, pp. 167-68 dell’edizione viennese del 1887.
  2. [ „grandi pensieri”]
  3. Bertoldo, Bertoldino fiutù seu, și Cacasino nepotulu lui, Sibiiu, 1799, e, fin dal 1683, tradotto in greco, come rilevo dalla Bibliographie hellènique (II, 417) di Émile Legrand (Paris, 1894), dove per la prima volta si fa menzione di questa traduzione ormai rarissima (l’unico esemplare che se ne conosca è quello già appartenuto a G. A. Fabricius, ora alla Bibl. imp. di Pietroburgo) del popolare libretto di G. C. Croce, che seguitò a godere in Grecia il favore dei semplici di cuore fin verso il 1815, come appare dalle successive ristampe alenate nel 1804, 1807 e 1813.
  4. Nel ms. n. 433 della Biblioteca Academiei Române leggiamo a c. 1 le seguenti parole: Aceasta carte ce să numește Zăbava Fandasiei, s’au tălmăcit de pre