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fondersi da ultimo in un sol grido d’invocazione disperata insieme ed affettuosa) son conservate nella traduzione rumena: A crude Saul, suflet prea nemulțumitor!
Ma questi son nèi che facilmente si perdonano, quando si conoscono le altre traduzioni e la difficoltà di trasportare in una lingua, che è senza dubbio la più povera e la meno letteraria di tutte le altre sorelle, i versi di un poeta come l’Alfieri, nutrito della più classica poesia italiana e latina, ammiratore del Petrarca, rifuggente da ogni facile armonia, originale sempre pur nelle volute durezze.
Ma dove Aristia si mostra traduttor scrupoloso fin nel rendere i più lievi particolari e incontentabile artista, è nella traduzione dei brani lirici, che formano una delle attrattive e degli ornamenti migliori di questa che va meritamente fra le tragedie più elette dell’Alfieri. Qui le difficoltà eran davvero non poche e Aristia ha saputo, a mio vedere, felicemente superarle. Vedremo in seguito quanto ci possa essere di giusto nella critica di Asaki. Leggiamo ora il brano seguente che corrisponde a quello che nella tragedia dell’Alfieri incomincia: Pace si canti, e rendiamo giustizia al traduttore rumeno, che è dei pochissimi, che si sian resi conto in Rumania dei doveri i quali s’impone e delle difficoltà cui va incontro chiunque voglia accingersi alla traduzione d’un classico italiano (specie se poeta e poeta grande come l’Alfieri) in lingua rumena, quando, s’intende, voglia preoccuparsi delle ragioni dell’arte e non si contenti di dare a’ suoi connazionali, come anche oggi purtroppo avviene assai di frequente, un’idea troppo invero languida e sbiadita delle bellezze del testo.
David.
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