Pagina:Panzini - Il romanzo della guerra, Milano, Lombardo, 1914.djvu/97

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il romanzo della guerra 89

bardi mi sono apparsi eroici e magnifici e mi sarebbe parso bene che essi avessero potuto dare unità all’Italia e fonder le stirpi. Ma Federico Secondo di Svevia, il gran Federico, mi parve, nell’Evo Medio, luce di civiltà in cui il genio latino e germanico si confondessero. E perchè no? Il Kaiser che sosta meditabondo davanti alle desolate ruine di Castel del Monte, il castello di Federico, mi si adombrava come un nobile cavaliere emergente dal flutto di queste scomposte nostre democrazie. Ho ammirato le pazienti ricostruzioni dei suoi dotti ed archeologi ma senza entusiasmi. Anzi quando, io giovanetto, sentivo dire, per indicare celebrità vera «noto anche nella dotta Germania», provavo un senso di dignità offesa. Ma quando un occhialuto della dotta Germania entrava in una nostra biblioteca, che reverenza! Non ho mai capito quello che ripetevano i nostri dotti, «che il libero pensiero comincia con Martin Lutero». Forse un po’ prima! Ma, ripeto, ho sempre creduto la Germania grande popolo ed organo ammirabile nella vita del mondo. Frisch, fromm, frei! Ma benissimo! Fresco, pio, libero! È quello che ci vuole. Sì, bravi Germani, rinfrescate, fate un po’ religioso questo nostro mondo di miscredenti a buon mercato, di scettici! Da noi si deride la vostra disciplina perchè — dicono — è passiva; si esalta la nostra riottosità perchè — dicono — è individualismo. Rinfrescate, rinfrescate, o Germani!