Pagina:Panzini - La cagna nera.djvu/145

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gione e incuteva un vaneggiamento di precipitarvi, come a chi contempla gli abissi.

E non v’era nessuna imagine o voce di purità e di virtù che si levasse al mio soccorso io che le invocavo!

Le sentenze degli asceti e dei padri della chiesa, le scritte dei filosofi stavano rigide come le statue dei santi mitrati che sono ne’ templi: le invocano, le invocano le supplicanti, ma essi non fanno un passo per venire in aiuto, e solo fissano le pupille d’oro come gente abbacinata.

Anche invocai quello scetticismo che mi aveva fatto perdere la fede nelle cose più nobili e belle: ma nulla poteva nè meno esso, che era stato così potente. E pronunciai anche come scongiuro una massima di antico re, in cui molti affermano che si compendi la saggezza della vita: «Tutto è vanità!» ma quelle risa si pigliavano giuoco anche di quella sentenza.

Chiamai pure a raccolta gli avvertimenti materni, le prime massime di virtù udite da fanciullo; ma non avevan valore contro quel riso di baccante, grande, e che pareva ormai una solenne cosa, tanto solenne che le piante, gli alti steli dell’erbe non battevano loro fronda o fiore,