Pagina:Panzini - Trionfi di donna.djvu/111

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il trionfo di nadina 107

parvenza di gran dispendio e faceva dire alla gente: «Così riccamente vestita e cercate un ufficio di poco rame?»

Ebbe tuttavia qualche scuola, qualche commissione di ritratti e di quadri e qualche guadagno ne ritraeva, ma la sua femminilità domandava — non sapea ella come — maggior servitù e dispendio, quasi come un nume che si imponesse entro di lei e a cui ella stessa dovea rendere omaggio.

Conveniva cioè pagare l’opera d’Amore, il gran statuario, che al suo servigio destina la bellezza muliebre.

S’accorgeva inoltre Nadina che il sogno dell’arte che sui diciotto anni pareva facile, era invece difficile cosa e lontana. Così la montagna pare di agevole ascesa quando è vista da lungi e, quando vi si è per entro, atterisce e conturba.

Teste di bimbi, ritratti di donne, adorne tele, sì, il pennello di lei compiva con precisa eleganza, ma dare anima ai fantasmi del bello, impossibile!

Nadina lo sentiva, e il pennello cadea con tristezza dalla mano.

Il pennello dicea: «Fibra virile e di titano la mia arte strugge e pur domanda, o fanciulla!»

Dicea lo specchio: «Non te ne avvedi? L’arte e la bellezza sei tu! Due cose esser non puoi per la contraddizione che nol concede».

Talora un languore molle la possedeva e la