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xxi. - L’alloro ed il cipresso 227

che ne usciva una dolcìssima cantilena: la quale si confondeva con l’antico dolore, per modo che il poeta finì con amare quasi il suo dolore, perchè non avrebbe potuto liberarsi da questo senza distrùggere quella sua cantilena.

E con quella sampogna si recava spesso alla casa dei morti, a consolare i suoi, e altri ancora.

E qui il Dio Pan, o Apòlline, compiva un altro miràcolo perchè il cimitero si trasfigurava agli occhi del poeta come fosse stato l’antica ìsola dei beati, circondata dall’azzurro mare. E anche questa era una consolazione. Qualche volta poi avveniva che da quella sampogna uscìssero squilli come dai bèllici oricalchi delle più perfette orchestre moderne. Sono scherzi che fanno gli Dei, cioè gli invisìbili. Il poeta aveva un po’ di paura dei suoi stessi suoni, ma quasi se ne compiaceva. Si doleva soltanto — e un po’ infantilmente — quando qualcuno, di quelli che si chiamano crìtici, voleva smontare la sua sampogna per vedere come era fabbricata, e se la marca di fàbbrica era ellènica, o latina, ovvero inglese, o germànica; ma non si scompòngono, gli istrumenti degli Iddii! E si

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